“Non esiste volto senza un altro volto che lo guardi.
– Paul Valéry
Il volto non è mai uno solo. Non lo vediamo mai direttamente: lo scopriamo negli occhi degli altri, nel loro sguardo, nel ricordo che lasciamo.
In ebraico, panim significa “volti” — un plurale che non ha singolare, come a dire che nessuno è davvero se stesso se non attraverso la relazione, la memoria, lo scambio.
La collana Panim raccoglie memoir che non sono semplici racconti di vita, ma ritratti a più mani: ogni storia personale è un prisma, in cui si rifrangono identità, silenzi, traumi e rivelazioni.
Volti che si cercano, si nascondono, si rispecchiano.
Ogni libro è un gesto di riconoscimento: di sé, degli altri, del tempo che ci attraversa.
Perché i memoir contano
Nella letteratura contemporanea, i memoir occupano un posto sempre più centrale. Raccontano il vissuto personale senza ambire a essere enciclopedie di una vita, ma piuttosto narrazioni intime capaci di toccare il lettore nel profondo.
Mary Karr, autrice di riferimento nel genere, scrive:
“Un memoir non è una deposizione: è una storia. Deve avere gli stessi elementi di un romanzo – struttura narrativa, evoluzione dei personaggi, una voce.”
(L’arte del memoir, 2015)
Questi libri non si limitano a raccontare cosa è accaduto, ma esplorano il senso di ciò che è accaduto, spesso con una scrittura tanto letteraria quanto vera. Come afferma Vivian Gornick:
“Ciò che mi è successo non è ciò che conta. Conta ciò che faccio di ciò che mi è successo.”
(La situazione e la storia, 2001)
Il memoir, se ben scritto, diventa specchio della nostra condizione umana, un ponte tra l’esperienza dell’autore e quella del lettore. È questo che rende il genere così prezioso nel nostro catalogo editoriale.
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